Il Broccolo Romanesco si coltiva sin dall’antichità in tutta la Campagna Romana, il territorio che comprende parte dell’Agro Romano e l’area che circonda Roma fino al Circeo. Ad Albano Laziale (RM) esiste una varietà dall’infiorescenza più grossa con il nome di “broccolo di Albano” o “broccolo capoccione”.

È una varietà di cavolo broccolo di colore verde chiaro e forma piramidale, con tante piccole rosette disposte a spirale. Ricco di antiossidanti, vitamina C, fibre e carotenoidi, rientra nel gruppo di piante di cui non si mangiano le foglie ma le infiorescenze non ancora mature.

Il broccolo romanesco deriva il suo nome da “brocco”, il germoglio, e fu un ortaggio sacro per Greci e Romani perché cura per diverse malattie, ulcerazioni e ferite e, mangiato crudo prima dei banchetti, aiutava ad assorbire l’alcool. Originario dell’Asia Minore, la coltivazione del broccolo romanesco nella Lazio si ottenne dall’isolamento di popolazioni locali di cavolfiore nella metà del 1800. Proprio nel 1800, Giuseppe Gioacchino Belli cita nel suo sonetto “Er Testamento Der Pasqualino” l’ortolano “Torzetto”, che coltivava e vendeva broccoli romaneschi e “meritava” l’appellativo di “torsolo”.

Il broccolo romanesco è ottimo all’agro, cioè condito a freddo con olio e limone, e ripassato in padella con olio, aglio e peperoncino. Nella tradizione romana troviamo la minestra di broccoli e arzilla e, tra le numerose ricette, il minestra di broccoli e arzilla e la minestra di pasta e broccoli.

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