Quando si entra nell’antico ghetto di Roma, attraversando le strette Via della Reginella o Via di Sant’Ambrogio, si rimane stupiti di finire in un largo viale come Via del Portico d’Ottavia o Via Catalana.

In realtà, fino al 1880, l’intera zona era percorsa soltanto da stretti vicoli su cui si affacciavano palazzi di cinque o sei piani, dove per 300 anni avevano vissuto oltre 6.000 persone, addossate una sull’altra in piccoli appartamenti.

Soltanto lo stato di completo degrado, le fogne a cielo aperto e la vergogna provata dal nuovo governo, spinsero il Parlamento Italiano e Re Vittorio Emanuele a radere al suolo tutti gli edifici per costruire un moderno quartiere con strade ampie e palazzi solidi, includendo anche il progetto della Sinagoga, che fu inaugurata nel 1904. Rimasero in piedi soltanto quegli edifici immediatamente prossimi le mura più antiche, che dal 1555 chiudevano il cosiddetto “Serraglio degli Ebrei”, dove Papa Paolo IV Carafa aveva deciso di rinchiudere in uno spazio separato tutti gli Ebrei che vivevano e operavano a Roma. Al suono della campana che annunciava il tramonto gli ebrei dovevano rientrare nel ghetto.

L’imposizione di un trasferimento di massa all’interno di un quartiere molto piccolo era accompagnata (e aggravata) dalla esclusione degli Ebrei da qualsiasi diritto, compreso la possibilità di possedere beni e fare altre attività intellettuali. L’unico commercio consentito era la vendita di stoffe e oggetti usati. Gli Ebrei potevano uscire dal Ghetto soltanto di giorno ed erano costretti al coprifuoco dopo il tramonto. Uno dei luoghi da loro più frequentati era la Pescheria, che fin dall’epoca medioevale si annidava all’interno delle rovine del Portico d’Ottavia, in una posizione piuttosto vicina al fiume da dove ogni notte arrivava il pesce fresco.

Della deportazione avvenuta il 16 ottobre 1943, che ha visto condurre verso i campi di concentramento in Germania 1259 ebrei romani, non resta più nessuno in vita a testimoniare l’orrore. E’ infatti scomparso l’ultimo sopravvissuto della Comunità ebraica, Lello Di Segni, deportato con tutta la sua famiglia ad Auschiwtz-Birkenau, e unico superstite del suo gruppo familiare.

Esistono luoghi-testimonianza che raccontano della tragica esperienza del Ghetto: Largo 16 ottobre 1943, che ricorda appunto il rastrellamento dei nazisti in occasione della deportazione, il Tempietto del Carmelo, dove regolarmente per secoli gli Ebrei dovettero ascoltare le prediche coatte che miravano alla loro conversione al Cristianesimo, o Piazza delle Cinque Scole, che prende il nome dalle cinque diverse comunità ebraiche che furono costrette ad arrivare a Roma da tutta Europa, dove venne recepito l’editto del Papa, e le “pietre di inciampo”, realizzate dall’artista tedesco Gunter Demnig in ottone lucente che ricordano le vittime della persecuzione nazifascista nei luoghi dove vissero e dove – in molti casi – ebbe inizio il loro olocausto.

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