Segni e le sue mura poligonali. Dalla città-museo a una tavola di sapori tradizionali

Benvenuti a Segni, una cittadina con due millenni di storia situata alle porte di Roma.

Il primo grande monumento dell’antichità, ancora perfettamente conservato e visitabile, è l’impianto urbanistico della città stessa sviluppata secondo il disegno voluto secoli fa per l’antica Signia da un ignoto urbanista.

I Segnini furono uno dei popoli sottoscrittori del Foedus Cassianum, patto di alleanza stipulato tra le città latine e Roma nel 493 a.C. quando la città era fiorente, ed unica in tutto il Lazio coniava monete d’argento con la scritta SEIC, addestrava milizie proprie con le quali offriva aiuto a Roma.

I principali assi viari, il percorso delle mura, gli spazi pubblici e i maggiori complessi architettonici costituiscono oggi l’importante e unico Parco Archeologico Urbano Diffuso – “Segni Città Museo”, istituito nel 2020.

La nostra visita comincia dal Museo Archeologico Comunale, ospitato nell’antico Palazzo della Comunità, costruito nel XIII secolo nel cuore del centro storico della città che propone un allestimento interamente dedicato al ricchissimo patrimonio della città antica e medievale e del suo territorio, con i molteplici itinerari che si snodano al suo interno e divengono poi all’esterno della struttura, singoli percorsi di visita a quella che è stata da sempre definita una Città-Museo.

Caratteristico e suggestivo il circuito murario in opera poligonale dell’antica Signia, lungo poco più di 5 Km, perfettamente intatto e visitabile nella maestosa imponenza per quasi tutta la sua estensione.
Ancora oggi le “mura ciclopiche”, diffuse nel Lazio Meridionale, suscitano lo stupore dei visitatori per la loro dimensione e per le leggende costruite sulla loro origine.

Per soddisfare la vostra curiosità è bene sapere che solitamente i blocchi erano cavati subito a monte della linea dove si voleva erigere la muratura: inciso il banco nel punto prescelto, gli operai conficcavano nella roccia dei cunei di legno che, una volta bagnati, dilatandosi per l’acqua assorbita, favorivano il distacco dei blocchi che dopo una prima sbozzatura, venivano trasportati fino al punto previsto per la loro posa, per lo più facendoli scivolare su rulli lungo il pendio: qui, una volta sagomati per adattarli a quelli già in opera, erano montati e lisciati.

Nella nostra passeggiata osserviamo la cinta muraria sulla quale si aprono numerose porte di diversa grandezza, gli ingressi principali alla città perfettamente conservati: Porta Foca, Porta dell’Elcino, Porta Maggiore, Porta Saracena, divenuta il simbolo della città, e diverse “posterule”, ingressi secondari che consentivano a uomini e bestiame brevi spostamenti.

Tutte le aperture sono realizzate secondo uno schema dettato dalle necessità di difesa.

In caso di assedio, infatti, le porte costituivano i punti più vulnerabili del circuito; grazie a questa conformazione, i difensori della città potevano sottoporre gli assalitori ad un pericoloso tiro incrociato, che permetteva di colpire i nemici tanto di fronte quanto di lato rendendo loro assai rischiosa ogni manovra di fronte all’entrata.

Attraverso un dedalo di vicoli che si snodano lungo la via ritta saliamo fino alla parte più alta del monte, dove sorge ora piazza San Pietro e dove era situata l’area dell’antica acropoli che presentava caratteri propri delle maggiori architetture del tardo ellenismo.

Comprendeva il tempio, dedicato a Giunone Moneta, ancora oggi quasi completamente visibile, con la sua piazza antistante, il grande bacino circolare posto alle sue spalle, quale esempio più noto di “opus signinum” che era punto di partenza di un vero e proprio acquedotto urbano alimentato ad acqua piovana, costruito con blocchi di tufo, calce mista a sabbia e minuti frammenti calcarei, con “caementa” realizzato con la miscela corrispondente alla ricetta data da Vitruvio nel suo De Architectura.

Possiamo ammirare i resti del complesso ellenistico di Santa Lucia, databile intorno alla metà del II secolo a.C. e un grande criptoportico, parzialmente visitabile, del tardo I sec. a.C.

Il ritrovamento di tre basi con dedica a Ercole e un cospicuo nucleo di terrecotte architettoniche, conservate al Museo Archeologico, fanno supporre proprio in quest’area l’esistenza di un Tempio dedicato al dio Ercole, protettore della pastorizia databile intorno al II secolo a.C.

Il complesso architettonico collocato in un punto nodale, costituiva una sorta di secondo foro in cui probabilmente si svolgeva il commercio del bestiame e la macellazione delle carni.

Il ruolo di fulcro della vita cittadina e dell’antico spazio forense è stato nel corso dei secoli svolto dall’area dell’attuale Piazza S. Maria.

Attraverso un dedalo di vicoli che si snodano lungo la via ritta saliamo fino alla parte più alta del monte, dove sorge ora piazza San Pietro e dove era situata l’area dell’antica acropoli che presentava caratteri propri delle maggiori architetture del tardo ellenismo. In epoca medioevale quest’area, per la naturale posizione strategica e di controllo venne trasformata in un “castrum” e sui resti del maestoso tempio fu eretta la chiesa dedicata a San Pietro.

L’acropoli comprendeva il tempio, dedicato a Giunone Moneta, ancora oggi quasi completamente visibile, con la sua piazza antistante, il grande bacino circolare posto alle sue spalle, quale esempio più noto di “opus signinum” che era punto di partenza di un vero e proprio acquedotto urbano alimentato ad acqua piovana, costruito secondo la ricetta data da Vitruvio nel suo De Architectura.

Possiamo ammirare anche i resti del complesso ellenistico di Santa Lucia, databile intorno alla metà del II secolo a.C. al di sotto dell’attuale sede della XVIII Comunità Montana dei Monti Lepini.

Il ritrovamento di tre basi con dedica a Ercole e un cospicuo nucleo di terrecotte architettoniche, conservate al Museo Archeologico, fanno supporre, subito fuori Porta Maggiore, l’esistenza di un Tempio dedicato al dio Ercole, protettore della pastorizia databile intorno al II secolo a.C. Il complesso architettonico collocato in un punto nodale, costituiva una sorta di secondo foro in cui probabilmente si svolgeva il commercio del bestiame e la macellazione delle carni.

Il ruolo di fulcro della vita cittadina e dell’antico spazio forense è stato nel corso dei secoli svolto dall’area dell’attuale Piazza S. Maria, dove in prossimità è parzialmente visitabile il criptoportico, fatto costruire per la città, nel tardo I secolo a.C., da due magistrati locali.

Nel medioevo lo spazio dell’antico foro andò ad ospitare quelli che erano gli edifici principali, riconducibili tanto al potere ecclesiastico quanto a quello laico del Comune.

Per le sue caratteristiche di roccaforte, a cavallo dei secoli XII-XIII, la cittadina era scelta come residenza dei Papi.
Tuttavia, il vero gioiello dell’architettura romana del tardo ellenismo, ancora visibile, è il ninfeo di Q. Mutius del quale conosciamo oggi solo alcune poderose strutture di contenimento in opera poligonale che delimitavano una grande terrazza artificiale, e la fontana monumentale perfettamente conservata e databile al tardo II secolo a.C. – inizi I sec. a.C. .
L’eccezionalità del monumento è data tuttavia dalla presenza di un’iscrizione, ben visibile nella decorazione a mosaico rustico al centro del prospetto principale del ninfeo.

Qui, in una cornice formata da gusci di telline e sullo sfondo di un mosaico bianco a tessere irregolari di marmo, si legge, in lettere greche formate da perline di blu egizianio, la firma dell’architetto che progettò il ninfeo: “Quintus Mutius” .

La città di Segni non è soltanto patrimonio archeologico, è anche natura e paesaggi mozzafiato, infatti, chi vuol godere della tranquillità della natura e di suggestivi spazi può avventurarsi nei territori di montagna, che comprendono le cime più alte della catena dei Monti Lepini, tra le quali Monte Lupone (1378 m s.l.m.), Monte La Croce, Punta dei Briganti – Punta della Molazza con uno spettacolare pianoro erboso, il Campo di Segni (845 m sl.m.).

Appassionati della natura possono spingersi in molteplici sentieri tra boschi di faggio e querce secolari, ampie vallate dove molto diffuso è l’allevamento del bestiame che pascola libero ed indisturbato, ricca vegetazione e aree di sosta attrezzate, tra cui molto caratteristiche le “capanne lepine” dello Stazzo Canali, adeguatamente sistemate per l’accoglienza di turisti.

A quote relativamente più basse, il paesaggio è caratterizzato da castagneti, la cui coltura risale ad età medievale e il cui prodotto, il marrone segnino, è particolarmente pregiato e molto nota è la Sagra del Marrone, che si svolge tutti gli anni nella IV domenica di ottobre.

E a proposito di cibo, anche per gli amanti delle escursioni a carattere enogastronomico, nei numerosi ristoranti e trattorie della città potrete gustare i piatti tipici della cucina locale, godendo al contempo della loro cordiale ospitalità: zuppe di legumi, primi piatti, tra cui tipici i “fregnaquanti”, pasta all’uovo tagliata molto fine e condita con sugo di carne, e ancora l’“appallocco” un piatto povero composto da fave cotte schiacciate e condite con aglio, olio e peperoncino, il tartufo, l’olio, le carni bovine e suine.

E per finire in dolcezza i biscotti cresciuti, le ciambelle “scottolate” e la “copeta”, il dolce natalizio noto fin dal medioevo, a base di frutta secca e miele e servito tra due foglie di alloro, infatti un ultima nota curiosa è quella relativa alla copeta, distribuita nel giorno della vigilia di Natale e al miele, menzionati già negli Statuti medievali.

 

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