“Un viaggio bizzarro!”
Così esclamerete quando scoverete quei luoghi insospettabilmente strani, macabri o paradisiaci, e sempre avvolti in un alone di mistero e sorpresa. I protagonisti sono tanti, ma “il colpevole” non è il maggiordomo ma l’acqua, la pietra e persino… le ossa! Vi abbiamo confusi? Bene, ora siete pronti a partire per quel Lazio bizzarro dove tutto è possibile!
Siamo a Roma. Curiosando a due passi da Piazza S. Pietro, di fronte all’Arcispedale di Santo Spirito in Saxia si cela dietro a una grata una bussola girevole, di forma cilindrica. Qui, sin dall’epoca medievale, si abbandonavano neonati indesiderati o illegittimi. È la Ruota degli esposti, l’ospizio per neonati introdotto in Italia da papa Innocenzo III e abolito nel 1923.
Il suono di una campanella faceva girare la Ruota, il segnale per accogliere il neonato, affidato alle cure dei frati e orribilmente marchiato con una doppia croce sul piede sinistro. Una triste storia? Non solo. Nei registri si scriveva filius matris ignotae, cioè “figlio di madre ignota” o, abbreviando, filius m.ignotae. Ora conoscete le nobili origini di una fra le più diffuse ingiurie romanesche!
Di sottecchi sbirciamo in via Giulia nella Chiesa di Santa Maria dell’Orazione e Morte. Già il nome promette bene. Ad accoglierci, uno scheletro graffito sulla facciata che chiosa Hodie mihi, cras tibi, ovvero “Oggi a me, domani a te”. Fate pure i vostri scongiuri e varcate l’ingresso. La situazione non migliora affatto. Un’atmosfera angosciante vi pervade, circondati da decorazioni con simboli di morte.
Scendiamo nella cripta in cui riposano in pace più di 8000 defunti con un’incisione sul teschio per ricordarne nome e decesso, con tanto di data, causa e luogo del ritrovamento. Siamo nel Cimitero Ipogeo, oggi un agghiacciante ossario con decorazioni, sculture e lampadari fatti di ossa e scheletri. Nel 1800 fu la scenografia per le sacre rappresentazioni con statue di cera a grandezza naturale. A portare avanti il curioso tema “post mortem” fu l’Arciconfraternita dell’Orazione e Morte che dava sepoltura ai morti senza identità, trovati in campagna o annegati nel Tevere.
Partiamo per una gita “fuori porta”, a trovare un po’ di pace (non quella eterna) tra le statue di pietra a Cervara di Roma.
“So 171 li scalini che portano a Cervara. Li primi 30 è un gioco da ragazzi schizzi come li razzi […] l’hai fatti tutti e adesso all’improvviso te pare d’esse annato in Paradiso.”
Così Renato Merlino descrive questo minuscolo borgo. In un paesaggio verdeggiante, macchiettato dalle rocce delle montagne e dalle case colorate, Cervara di Roma è la porta d’accesso al Parco Naturale dei Monti Simbruini.
Siamo nel “borgo degli artisti” dove dal 1800 fioccarono dichiarazioni d’amore d’autore da tutto il mondo. Poesie, dipinti, affreschi, murales e sculture omaggiano questo gioiello di vedetta sulla valle dell’Aniene. Il francese Ernest Hebert ha dipinto il suo fascino bucolico in “Il picco di Cervara” e “Una strada di Cervara”, per poi ritrarre quello delle signore in “Rosanera alla fontana”, “Portatrice d’acqua” e “Le donne di Cervara”, quest’ultimo esposto al Museo d’Orsay di Parigi. Sui muri del borgo, si leggono i versi dello spagnolo Raphael Alberti e persino le note del “Notturno per Cervara” composto dal maestro Ennio Morricone.
Come se non bastasse, enormi sculture dell’Accademia di Belle Arti di Firenze simboleggiano indelebilmente la pace su “La Montagna D’Europa”, scalpellate nella roccia calcarea a strapiombo sulla piazza.
Tra i vicoli lastricati in pietra, dove serpeggiano ripide scalinate e occhieggiano pittoreschi murales di Giuseppe Ciotti e Eric Hebborn, Cervara di Roma ha ispirato la Settima Arte. Dall’immaginaria Castrovizzo di Checco Zalone in “Quo Vado?” a “Black Butterfly”, il thriller con Antonio Banderas sul set a Campaegli, tra spettacolari altipiani carsici, boschi di faggi e la riserva faunistica del Cervo a quota 1000 metri.
Di notte, poi, come non innamorarsi di un monile simile, con il volto scolpito nella roccia e il corpo vestito di paillettes?
Se non siete ancora sazi di rarità strabilianti, entrate nel paradiso terrestre, il Parco di Omero sul lago di Fogliano. Nel Parco Nazionale del Circeo, si nasconde un giardino esotico sul lago. Questo tesoro prende il nome dall’autore greco che qui visse e scrisse l’Odissea, ispirato dal promontorio del Circeo dove si narra che la maga Circe ammaliò Ulisse.
Siamo a Villa Fogliano, in uno dei più bei parchi letterari d’Italia. Il luogo magico è poco noto ai più ma forte fonte d’ispirazione per Orazio, Goethe e D’Annunzio. Ecco perché la Fondazione Ippolito Nievo ha scelto come “Centro Internazionale dei Parchi” questo angolo immerso in un borgo di pescatori e allevatori di bufale.
Sermoneta, Ninfa, il lago di Caprolace e Fogliano con il suo lago rinacquero grazie a Papa Bonifacio VIII. Papa Caetani lasciò alla sua famiglia la realizzazione dell’Orto Botanico di Villa Fogliano. Nato nell’Ottocento come giardino esotico, dallo spirito libero e creativo di Ada Bootle Wilbhram, moglie di Onorato Caetani, fu abbandonato dopo pochi anni, lasciando così che avvenisse un miracolo. Specie mediterranee ed esotiche si affiancarono spontaneamente e il Parco di Omero si trasformò in un paradiso incantato dalle palme che si specchiano nel lago, dove passeggiare al chiaro di luna.
Dalla morte alla vitalità dell’acqua, dall’horror alla poesia della pietra, con questo carico di emozioni che scalpitano nei ricordi, ronza un’ultima domanda: vi abbiamo stupiti?